sabato 27 febbraio 2010

Notturno Bus.

(perchè se un titolo è bello,vale la pena rubarlo)


I notturni fanno un tragitto completamente diverso da quello dei normali autobus. Per andare da un punto A ad un punto B sembrano procedere lungo una spirale, invece che una retta. Problema è che la spirale sembra costruita in sezione aurea e il bus sembra fermarsi ad ogni singolo punto che la compone. E se non sapete quanti sono, fidatevi sono un bel po'.
Ti sembra che se non scendi alla tua fermata potresti benissimo continuare a viaggiare all'infinito inseguendo la notte. D'altronde basta viaggiare in senso opposto a quello di rotazione terrestre, mica poi così difficile.

Sembriamo tutti in fuga.

Anzi, sembriamo tutti in uno di quei momenti dei film horror, dove hai appena finito di correre, ti appoggi ad una colonna per prendere fiato prima che il petto ti esploda per il battito cardiaco accelerato e, per un attimo, hai anche l'impressione che forse ce l'hai fatta a non beccarti un'accettata nello sterno. Peccato subito dopo da dietro la colonna ricompare il pazzo omicida. Un momento di respiro nel corpo di una fuga più ampia.

Il campionario umano è degno di un commesso viaggiatore uscito da un film degli anni'60: incredibilmente vasto per la dimensione del contenitore.
Centinaia di spazzole e saponi in una valigetta minuscola.

Però bisogna avere il coraggio di salire sull'autobus in un giorno infrasettimanale, altrimenti si incontrano solo ragazzini delle superiori, per lo più discotecari, che sciamano da una parte all'altra della città.

In quel caso ci sono ragazzi e uomini di tutte le età e di tutti i colori di pelle che vi possano venire in mente.
Alcuni di loro stanno tornando a casa, in quartieri periferici e malfamati, dopo aver finito un turno massacrante di un lavoro che noi indigeni siamo troppo qualificati per fare. Scappano dal chiedersi se per venire fin qui ne sia valsa davvero la pena affrontare un viaggio lunghissimo, sopprusi, ingiustizie, razzismo, disprezzo. Davvero un brutto modo per capire che la vita qui non è proprio Un posto al sole o Cento vetrine, che a vederli da fuori ti dici: «Beh, se sono solo quelli i problemi, è una pacchia». Invece alcune di queste persone si ritrovano a dover fare i conti con la reale sopravvivenza quotidiana.
E non sono cieco abbastanza da non vedere che alcuni di loro stanno scappando anche dalla legge, seduti sui loro sedili completamente chiusi in se stessi, con un cappuccio calato sulla fronte, che cercano ti tirare giù ulteriormente ad ogni volante della polizia che affianca il bus ad un semaforo rosso. Basta un niente per innescare questa premura: un documento fuori regola, l'assenza totale di documenti e ,ovviamente, magari anche il fatto di essere davvero un delinquente. Il solo fatto che abbiano sofferto non li rende migliori a prescindere, sicuramente anche tra gli immigrati ci saranno delle merde umane, pronte ad accoltellarti per quattro soldi, tanto quanto tra gli indigeni di questo paese. Ma i nostri delinquenti girano vestiti meglio e non sono scuri di pelle... e si sa, l'immagine è tutto.

Ci sono due ragazzi con i capelli lunghi e la pelle del viso brufolosa.
I giubbetti di pelle nera portano le insegne del loro nucleo di affiliazione sociale, sotto forma di toppe raffiguranti i loghi di gruppi metal. Parlano ad alta voce di un concerto, che non dev'essere stato un granchè. Scappano anche loro. Scappano via dalla maggior parte della gente, dentro un gruppo più ristretto che li accetti, che li faccia sentire parte di un qualcosa più grande del singolo individuo. E' richiesto solo di subappaltare parte della propria identità ad un'estetica condivisa. In cambio ti danno senso di appartenenza e qualcosa di cui parlare per evadere dalla realtà quotidiana. Si direbbe un affare. Non fosse che il cane rabbioso del reale ti insegue sempre con la bava alla bocca e il fiato che puzza di residui di carne in decomposizione tra le zanne e non c'è acconciatura o abbigliamento che riesca a impedirgli di morderti prima o poi.

C'è il barbone che ha eletto l'autobus a sua personale camera d'ostello, in taluni casi con un angolino ad uso bagno, per scappare dal freddo della notte.

C'è la studentessa universitaria fuori sede che è appena scappata da una festa deprimente oltre misura.
Deprimente perchè caricata di talmente tante aspettative, da convincerla che sarebbe stata una buona idea andarci da sola, imparando a proprie spese che se vai a feste organizzate da studenti di ingegneria meccanica ti ritrovi a condividere il doppio cromosoma x, al massimo, con una tizia coi baffi e una chiave inglese attaccata allo zaino. I capelli biondi e lisci che cominciano a perdere coesione, data loro dalla piastra qualche ora prima, e lo sguardo fisso sulle micidiali scarpe col tacco, che le donne con pervicace e masochistica insistenza continuano a mettere a feste dove si sta in piedi tutto il tempo. Le mani appoggiate compostamente sulle ginocchia, mentre cerca di cacciare dalla mente l'impressione di essere stata per un certo lasso di tempo come una giovane vitella ad un convegno di macellai all'ora di pranzo.
Il punto è che era partita con l'idea di farsi rimorchiare, per scaricare sopra a dei ricordi ingombranti una badilata di cazzi o almeno una limonata con petting leggero, se proprio la serata andava male. Una volta lì si era accorta che non era assolutamente quello che voleva, nonostante fosse quello che chiunque nella stanza volesse darle.

E ovviamente ci sono anch'io.
Io che scappo da 24 ore lunghissime e senza sonno, in cerca di serenità, di appetito, di qualcuno o qualcosa.
Io che chiedo a tutti gli altri passeggeri di riempirmi con le loro storie, interrogandoli con gli occhi, ma evitando i loro sguardi, perchè nessuno vuole aprirsi così tanto. Vogliono tutti cullare la propria solitudine, dopo essere stati in mezzo ad un sacco di gente, però io ultimamente non sopporto più di stare solo con me stesso. Non sono mica una così bella persona da frequentare. E se lo dico io che mi frequento da quasi ventisette anni, forse fareste meglio a credermi.

Alzo lo sguardo e mi metto a fissare la luce azzurrina, quella che viene accesa solo di notte. Crea un clima un po' strano: come fossimo su un aereo militare pronti per essere paracadutati, in piedi o seduti, tutti guardiamo la punta delle nostre scarpe e sembriamo concentrati, pronti per scendere al momento giusto, per lanciarci fuori nel vuoto, uscire dal nostro guscio protettivo di metallo e rischiare le nostre vite.

Vorrei avvicinarmi alla studentessa, dirle che capisco perfettamente, che se vuole possiamo essere da soli assieme per un po'. Forse sarebbe la cazzata giusta da fare ora, per come sto.
Arriva però il momento di alzarmi, premere il pulsante di prenotazione della fermata e preparare a lanciarmi.

L'autobus si ferma e le porte si aprono con il loro sibilo. Chiudo gli occhi solo per un secondo per godermi la ventata d'aria sulla faccia, poi scendo.
Bisogna ritornare a farsi inseguire dal pazzo omicida con l'accetta, sperando di essere il protagonista che si salva alla fine del film horror e non una comparsa sacrificale, messa in scena solo per soddisfare la sete di sangue degli spettatori.



As Your Life In Hell

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