venerdì 1 ottobre 2010

Di nuovo.

Sono di nuovo in uno stato di ascolto.

Sono solo e fumo una sigaretta.

L'aria calda e umida porta i rumori distanti fino alle mie orecchie.

Stavolta però voglio ascoltare dentro.

Sento il rumore della pressione che si alza e dei battiti cardiaci che aumentano.
Le orecchie fischiano, ma non perchè qualcuno sta pensando a me.
Le dita formicolano e sento come delle scosse risalire dalla base della schiena, insinuarsi nel cervello e rimbalzare sulle pareti interne della scatola cranica.

Il  corpo reagisce istintivamente contrastando le sostanze tossiche che ho assunto volontariamente.

Tutti ci avveleniamo un po' per sentirci più vivi. Ognuno sceglie veleni diversi.
Il pharmakon greco, veleno e medicina nella stessa parola.
Vita e morte. Una indispensabile all'altra per definirsi.

Gli oggetti attorno a me mi fissano con disappunto.
Mi viene da dire loro:
Facile per voi siete stati creati con scopi e funzioni precisi. Non come noi umani.
Volto loro le spalle.Ci provo almeno.

Continuo a godermi i miei battiti accelerati.

I veleni in circolo sono tanti e tutti molto potenti, ma so che sopravviverò anche stavolta.
Un'altra volta.
E so già che non sarà l'ultima.

venerdì 14 maggio 2010

La Venere storta.


Alle volte nella vita di uomo si incontrano.

Non importa se hanno i capelli ricci, lisci o mossi.
Non importa se quei capelli sono lunghi o corti.
Non importa se sono neri, rossi, castani, o biondi.
Non importa se sono artiste o scienziate.
Non importa se lavorano, studiano, o tutt'e due o nessuna.

Sono ragazze che sembrano normali, ma normali non sono.

Ti dicono cose tipo:
"Ho la cellulite"
"Ho un anca più piccola dell'altra"
"Ho il culo flaccido"
"Ho pure una tetta più piccola dell'altra"

"Sono come una Venere. Bella da distante, ma, a guardarla bene, tutta storta.

Una Venere storta."

Non è una rivisitazione della "musa malata" di Baudelaire, non te lo dicono per farti vedere quanto sono fighe anche dentro quella testa così graziosa.
Non hanno bisogno di dimostrarti nulla.
E benché meno vogliono farti da musa.
Come un cane fiuta la paura, loro fiutano di essere una spanna sopra di te. Al massimo potete essere allo stesso livello, ma anche lì... loro hanno comunque la vagina e se sei un maschio eterosessuale, vuoi o non vuoi, sei un po' alla loro mercé.
Lo sentono che sei tu ad aver bisogno di loro, ma hanno buon cuore e magari anche tu potrai avere un pezzetto della dea.

Ti dicono certe cose mentre sei a letto con loro, subito dopo, quando si è ancora nudi e il sudore ti si sta asciugando sulla pelle.
Tu ascolti, ma senti solo "Venere" e non vedi nessuna stortura. Magari nemmeno c'è.

Così finisci per sentirti un po' Ares.
E oltre a sentirle dentro, ti sembra di averle anche sulla pelle le cicatrici delle tue battaglie personali. Ti senti un po' un reduce.
Solo che, a differenza di Ares, le tue battaglie non sono epiche, non sono eroiche.
La vita che vivi è piatta e insignificante come quella di tutti e la cosa più pericolosa che ti possa capitare è che un armadio ti cada addosso facendo dei lavori in casa, mica un esercito di titani che scala l'Olimpo con la chiara intenzione di farti il culo.

Però i lividi e le cicatrici ci sono comunque. Magari gli altri non li vedono, ma tu patisci tutto il male che li hanno generati.
Poi arrivi da Venere appoggi lo scudo e lei ti accarezza e bacia i segni delle tue battaglie.
Non importa se non sei il suo uomo, non sei Efesto.
Non le importa se sei come una specie di yogurt in scadenza e che di lì a poco dovrai andartene nella spazzatura.
Non le importa se sei già scaduto e dentro hai un casino di fermenti lattici, fin troppo vivi.
State distesi nudi uno a fianco all'altra e lei ti passa le mani trai capelli, accarezzandoti la nuca.
Ti accarezza il viso e quel po' di barba che sta rispuntando, perché da qualche tempo hai cominciato a lasciarti andare, fa un leggero rumore sotto le sue unghie.
Uno di quei rumori che partoriscono brividi che partono dalla base della schiena fino alla nuca, ma al contempo sembrano cullarti e tranquillizzarti.

Poi chiudi gli occhi per un attimo e ti concentri sulla sensazione delle dita che si infilano tra le ciocche di capelli.
Cerchi di figurarti come deve'esser bello il contrasto di colore di quelle appendici chiare sullo sfondo delle fibre scure e cominci a pensare seriamente che sia addirittura meglio questo di quando erano avvinghiate al tuo uccello muovendosi dall'alto verso il basso.
Certo scopare non era assolutamente male, anzi, ma manifestazioni d'affetto di questo genere non hanno bisogno di preservativi o di lubrificanti, naturali o meno. Una bella comodità e una non minore efficacia.

Ti sembra passato il tempo di un paio di pensieri, pochi istanti e riapri gli occhi.
Il viso della Venere è a pochi centimetri dal tuo.
Tu hai una coperta addosso.
Ti sei addormentato.
Ti sei addormentato e lei ti ha coperto, vi ha coperto.
Hai abbassato anche l'ultima difesa, quella del tuo io cosciente. Lei è Venere non vuole farti male, puoi permetterti di addormentarti.
E senti che la stanchezza di notti e notti insonni si è dissolta di fronte a solo pochi (forse) minuti di sonno veramente rilassato.

Probabilmente se ti fossi svegliato, se l'avessi vista tirare su il plaid fucsia dai piedi del letto e appoggiartelo sulla schiena, l'avresti anche ringraziata. Lei si sarebbe schermita dicendo che lo faceva solo perché aveva freddo, mica per te.
E chissà dove si sarebbe dovuta cercare la verità, se tra le pieghe dell'orgoglio, più insidiose di quelle, cariche elettrostaticamente, della coperta in pile, o nelle parole uscite di bocca.

Ora però devi interpretare il tuo ruolo fino in fondo. Ares ha sempre una qualche combattimento a cui partecipare.
Scivoli sotto la coperta, facendo attenzione che lei non si scopra e che non si accorga della tua premura.
Ti siedi sul bordo del letto e ti rivesti. Armatura e tutto.
Ogni tuo gesto è dilatato e prende il doppio del tempo normale. Indugi su quegli atti, forse per godere degli ultimi istanti della presenza di Venere, forse per chissà che altro.

La senti muoversi alle tue spalle e, quando ti giri, lei ha addosso qualche indumento da casa e ti sta guardando.

Si crea uno di quei momenti di silenzio in cui tutti e due vorrebbero dire qualcosa, ma che si è capaci di riempire solamente con qualche sorriso.

Poi lei dice: -Se vuoi puoi fermarti qui a dormire...-

Tu sai quanto le costa dirti una cosa del genere. Per lei non è facile, ma lo fa. Ti offre ancora di più di quanto non ti abbia già dato. Forse lo fa perchè sa che te andrai comunque, o forse vuole veramente averti accanto come pochi momenti prima, in extended editon.

E cazzo, se vorresti guardarla, sorriderle, sfilarti la maglietta e dire "Va bene".

E' come quando la mattina sei ancora a letto, non ricordi cos'hai sognato, ma senti che era qualcosa di piacevole, e contemporaneamente ti vengono in mente tutte le cose da fare di lì a pochi minuti. Un misto tra disgusto, per la propria vita, e depressione, per la sensazione di felicità che sta lentamente sfumando nella tua testa, con un simpatico senso di nausea come retrogusto.
La causa di questo fade-out di felicità sono tutte le cose del giorno dopo che incombono e la realtà che ti arriva addosso come una secchiata d'acqua fredda gettata su due cani. E tu sei tutti e due i cani, o almeno così ti sembra. Nemmeno la consolazione del "mal comune".

Quelle tue piccole battaglie per niente eroiche, le tue occupazioni triviali e insulse ti spingono ad alzarti dal letto e infilarti la giacca, mentre intanto gliene parli, gliele descrivi, forse più per convincere te stesso che devi andare, che altro.

Dopo che ti ha accompagnato alla porta, vi siete salutati, e alle tue spalle hai sentito chiaramente il suono dei cilindri della serratura blindata che si infilano nei loro alloggiamenti, ti senti come se avessi guadagnato una tacca in più sul tuo personale stupidometro.
Come se ti fossi lasciato sfuggire l'occasione di godere di qualcosa di bello. Un'altra volta...
Un po' come quando la mattina rinunci alla possibilità di sognare ancora un po' ed esci dalle coperte, con la consapevolezza che è la cosa più sciocca da fare.
La cosa migliore sarebbe continuare a rigirarsi nelle coperte, magari cullando l'illusione di poterlo fare ad oltranza, soprattutto se lo confronti a quello che ti attende fuori dal letto e che andrai a fare per il resto della giornata.

E un'altro pensiero ti raggiunge, quando tu invece hai raggiunto il marciapiede e lanci un'occhiata alla finestra della Venere.
Nell'attimo che ti soffermi, il freddo, che nonostante la stagione continua a farla da padrone nelle ore tarde, genera brividi di segno opposto a quelli di poco fa.
E il pensiero che ti passa nella testa è un altro "grazie", per tutto ciò che di buono ti è venuto dopo tanto tempo.
Solo che è strano e non è usanza in questo mondo ringraziare qualcuno per averti lasciato infilare il pene in qualche cavità anatomica.
Certo non sarebbe solo per quello la gratitudine, ma ti toccherebbe spiegare con lunghi giri di parole cosa intendi. E ormai le parole le senti logore, o forse è solo l'inizio di un brutto mal di gola.
E come dimenticare l'orgoglio e la superbia, tipici degli dei. Essi ti impediscono di esprimere a pieno la debolezza intrinseca di un "grazie", che ti mette nelle mani di qualcun'altro, ammettendo di aver avuto bisogno di quel qualcuno, il quale può in ogni momento ritirare i propri favori.
Paura e necessità di proteggersi? Forse.
Ma quando escono fuori assomigliano tanto all'orgoglio. E se ce l'ha Venere, ce l'ha pure Ares.

Da solo ti allontani lungo la strada ingombra di macchine parcheggiate e, dando le spalle a Venere, cerchi di convincerti che ci sarà un'altra occasione e un'altra maniera di ringraziarla.


venerdì 5 marzo 2010

Paura.

E' possibile avere paura di un oggetto?

La paura è irrazionale, si sa, ma in teoria sarebbe sensato investirla su esseri che con il loro agire ci possono danneggiare. Poi noi siamo costretti a relazionarci con questi esseri in termini di fuga o sfida.

Può un oggetto, un frullatore, una lavatrice, un soprammobile fare paura?
In teoria no.
Dovrebbero suscitare apprezzamento, critiche, disgusto, ma non paura. Quella no.

Anche se ci sono oggetti e oggetti.

LUI stava camminando per strada e l'oggetto che aveva nella borsa gli pesava parecchio. Ad ogni passo che faceva gli sembrava che la tracolla lo stesse segando in due. In diagonale poi, veramente inelegante e asimmetrico.
Non si ricordava nemmeno perchè l'aveva preso e portato con sè.
Anzi sarebbe più preciso dire che se lo ricordava benissimo, ma che non voleva riportare alla mente quel pensiero.
Il pensiero che l'aveva messo in borsa come sfida a quell'oggetto. Una sfida che stava perdendo un passo alla volta.
L'aveva portato con sè la mattina uscendo, dicendosi, cercando di convincersi che l'avrebbe trattato come ogni altro oggetto nella sua borsa. Sicuramente il pacchetto di gomme da masticare, schiacciato sul fondo e ridotto ad un ammasso contorto, o l'ombrello pieghevole non occupavano i suoi pensieri con la ricorrenza ossessiva suscitata da quell'altro oggetto.

Le bugie che ci raccontiamo sono sempre molto convincenti quando le inventiamo. Purtroppo più le tiri fuori dal mazzo, più fanno come le carte scadenti che compri al negozio cinese sotto casa. Si sfaldano, aprendosi in due e mostrandosi per quello che sono: sottili strati di carta di bassa qualità, con qualche disegnino colorato sopra.

L'oggetto era rimasto al margine dei suoi pensieri, trovando mille e più scuse per non usarlo, per lasciarlo tra le falde di pesante tela nera della tracolla, fino al momento di tornare a casa.

Il tempo libero è la cosa peggiore che possa capitarci, forse. Finisce sempre che lo usiamo, non per divertirci veramente, ma per lasciare entrare nella testa un sacco di paranoie, ragionamenti irrisolti, parole non dette, azioni non fatte. Poi ovviamente per tamponare quest'emorragia di autocoscienza, ci anestetizziamo circondandoci di persone, buttandoci a capofitto in attività sociali considerate universalmente divertenti, usando qualsivoglia droga legalizzata disponibile e talvolta anche quelle illecite. Tutti che si divertono, tutti che si stanno praticamente infilando un ago in un braccio per non fare i conti con lo schifo quotidiano.
E il week-end è l'apice parossistico di un ciclo che si autoalimenta e che arriva puntuale ogni settimana. Realtà per cinque giorni, poi dalla sera di venerdì a quella di domenica a cecare di dimenticare. Se non sei capace di divertirti o non hai nessuno con cui farlo, cazzi tuoi.

Alla fine LUI ce la fa a tornare a casa e senza essere tagliato in due come l'assistente di un prestigiatore incapace.
Dopo pochi passi dentro l'appartamento gettò la borsa in un angolo e cominciò a cercare freneticamente qualcosa da fare, finendo inevitabilmente su una sedia davanti al computer a farsi i cazzi degli altri attraverso il magico mondo della Rete. La gamba che comincia a tremare sotto la scrivania, però, tradiva un'ansia talmente evidente, che negarla lo avrebbe fatto sembrare più stupido di Clinton quando negava davanti alla sua nazione. E si può anche accettare di sembrare stupidi di fronte agli altri, anche un'intera confederazione di cinquantuno stati (contando anche D.C.), ma farlo di fronte a se stessi, a lungo andare non ce la si fa. Almeno è indice di un livello minimo di amor proprio. Giusto una briciola.

Era solo nell'appartamento, quindi niente pubblico con cui fingere superiorità. Non che la presenza di altri potesse rendere qualsiasi cosa più facile. Semplicemente quando hai un pubblico le emozioni esteriori che fingi sono più convincenti anche per te.

Sapeva cosa doveva fare e controvoglia cominciò a farla. Si staccò dal monitor, che praticamente era una versione digitale e più efficiente della portiera dello stabile. Recuperò la borsa, prendendola per la tracolla e trascinandola sul pavimento, la avvicinò alla scrivania. Si risedette a fissare la tela nera afflosciata a terra.
Stava cominciando a sembrare una Via Crucis: un sacco di stazioni e momenti dedicati alla contemplazione del dolore.
LUI odiava cordialmente i riti religiosi e il pensiero lo infastidì parecchio, dandogli la forza di infilare la mano tra le falde di stoffa ruvida, tendendo le cuciture sfilacciate, i cui fili spiccavano bianchi sul nero, come spaghetti sconditi, scotti e insipidi su piatti di design svedese.
La mano uscì dall'abisso di tessuto e cianfrusaglie, portando con sè una busta di plastica e dentro di essa l'oggetto.
Incredibilmente ci teneva all'oggetto e ne aveva cura, cercando di proteggerlo da agenti esterni con quel sottile velo di petrolio raffinato.
Forse ci teneva tanto proprio per la stessa ragione per cui lo temeva: la sua provenienza, in termini di tempo, spazio e persone coinvolte.

Sotto la plastica la forma a parallelepipedo rivelava che l'oggetto in questione era un libro. Tirato fuori dal suo ultimo involucro, l'oggetto stava appoggiato sulla scrivania e, per quanto fosse inerte, a LUI sembrava farsi più grande un millimetro al secondo, come se il suo cervello cancellasse tutto quello che stava attorno. L'attenzione si focalizzava sullo spigolo del parallelepipedo, così saldo nonostante fosse composto da centinaia di sfoglie sottili, dal quale si apriva lo scorcio obliquo della copertina. La copertina colorata, ma a dominante bianca, tanto che i caratteri scuri del titolo sembravano mosche posate su una ciotola di latte in cui galleggino cereali alla frutta colorati.
L'idea che così tante mosche si fossero posate, gli faceva pensare che forse quel latte era andato a male e che berlo gli avrebbe fatto male.

Era quello il nocciolo della questione il desiderio di avvicinare quell'oggetto, quel libro, e contemporaneamente la paura di quello che avrebbe potuto succedere dentro di lui dopo averlo fatto.

Il libro era un regalo. E mentre lo fissava poche parole salivano agli strati superiori della coscienza dagli oscuri ripostigli puzzolenti di muffa della memoria.

- Lo so, è un libro difficile. Sembra quasi un dispetto regalarlo, ma è il mio libro preferito.
- Ma no, tranquilla. Quando si regala un libro che si ama, chi lo legge può assaggiare una fetta della persona che gliel'ha dato e non fermarsi solo alla glassa di copertura.

Era passato un sacco di tempo da quella sua scadente metafora culinaria. Al tempo cercava di fare colpo su LEI con questo genere di peripezie linguistiche, che lì per lì sembravano anche carine. Col tempo gli era sembrata sempre più una cosa veramente ridicola da dire e a nche abbastanza banale. Ora però LEI era il passato, LUI era andato avanti e tutte le altre cazzate che si dicono in questi casi. Le persone in realtà non passano e non si va mai veramente avanti da un certo punto della vita in poi. Si rimpiazzano le persone, accatastando relazioni come i blocchetti del Jenga, e si sguazza nel proprio essere convincendosi della giustezza delle proprie azioni, girando in tondo.

Comunque ci sono stati di rassegnazione e accetazione del reale che ti permettono di usare tutte quelle belle espressioni pre-confezionate.
Girare pagina.
Svoltare l'angolo.
Ritrovare la serenità.
Riappacificarsi col mondo.
Ognuno sceglie le parole che preferisce.
LUI aveva scelto "affanculo tutto e tutti" e sembrava dargli una certa tranquillità.

Però la tranquillità sembrava pericolosamente in pericolo al momento. Temeva che aprire le pagine ancora compatte e forzare il dorso senza pieghe di quell'edizione economica sarebbe equivalso a tirare direttamente il blocchetto alla base della torre per rimetterlo in cima. Tirarlo via lasciando crollare tutto quello che ci stava sopra e assaggiare ancora una volta una fetta di quella persona. Ritrovare tra le pagine di quel libro l'inebriante, giocosa follia con una vena di pragmatismo sensuale e malizioso ammiccamento, veicolata attraverso una retorica semplice e immediata, una razionalità, strisciante sotto la superficie delle invenzioni fantastiche, che rivela le incongruenze della vita quotidiana, una condivisione di tante qualità e di gusti che LUI aveva già trovato in LEI, facendogli nascere il desiderio di affascinarla con esibizioni culturali e frasi involute, belle e vuote come una coda di pavone o un deretetano di babbuino.

Le cose, si sa, non vanno mai come si spera, si vuole, si prevede e tanto meno come dovrebbero. Le cose vanno e basta. Noi dobbiamo solo adattarci. Questo non vuol dire che non ci si debba stare male.

Quindi LUI si era ritrovato rimpiazzato abbastanza in fretta da un altro con parole migliori e una radianza più in sintonia con quella di LEI. Forse direttamente un uomo migliore, non lesiniamo parole. La cosa non sarebbe drammatica in sè, nè uscirebbe dal dominio del triviale, ma per chi c'è dentro qualsiasi cosa sembra portarti fuori dal dominio del piatto quotidiano diventa una trave del relitto di quella vita che vorremmo vivere, a cui aggrapparsi durante il naufragio nel mare dell'ignavia.

Dopo aver speso tempo ed energie ad uscire da determinate aree oscure della propria mente, senza l'aiuto da parte proprio di quelle persone che più di tutti l'avrebbero potuto fare, senza l'aiuto di quella persona, che evidentemente riusciva a passare sopra certe cose come fosse uno schiacciasassi, senza effettivamente provare a capire come potessero stare le altre persone, LUI si ritrovava di nuovo a combattere. Il problema è che a guardarlo sembrava avere più l'aspetto del reduce che del guerriero.

Il libro lo fissava, poteva quasi sentirlo. Si sentiva giudicato per la sua codardia, per le sue continue affermazioni di indifferenza per l'oggetto, smentite sempre dalle sue fughe, per la cura con cui lo trattava, che tradiva un desiderio come per quella persona, anche solo per una fugace e bambinesca vendetta, come se fosse una cisti sottocutanea piena di larve di insetto pronta ad esplodere.
Affrontarlo poteva voler dire vincere o perdere. In entrambi i casi niente di buono poteva uscirne. Infatti in caso di vittoria, si sarebbe cullato nell'autostima fino ad essere di nuovo abbastanza sicuro da non chiudere più a chiave la porta, in maniera tale che qualcun'altro entrasse e lo derubasse dell'amor proprio mentre non stava attento o dormiva. In caso di sconfitta nemmeno da descrivere l'ondata di pseudo-depressione adolescenziale che l'avrebbe colto.

Ma cosa rende veramente un uomo?
Affrontare cose del genere ti rende veramente migliore?
Non finisce per toglierti ulteriormente quel poco di buono che abbiamo, lasciandoci a raschiarlo dalle pareti del barattolo vuoto che diventiamo?
O forse ci deve entusiasmare il trovare in noi stessi lo stesso spirito di sacrificio e coraggio, che dimostrarono i grandi combattenti che troviamo nei libri di storia?
Ci dobbiamo vantare anche solo di aver intrapreso la sfida?
La codardia è davvero un disvalore o ti fa solo valutare con più attenzione quali sono le sfide che vale la pena affrontare?

Tutte queste risposte sarebbero dovute arrivare un altro giorno per LUI. Ormai era tardissimo e i finti impegni, creati ad hoc del giorno dopo, necessitavano di qualche ora di sonno. Si voleva convincere che il giorno dopo, mettendo la busta di plastica nella borsa di tela, sarebbe stato il giorno giusto. Sarebbe stato il giorno in cui si sarebbe sceso da cavallo, avrebbe sguainato la spada, con quel sibilo argentino, e affrontato il drago. Avrebbe vinto o perso. Fine

Mentre si metteva sotto le coperte, cominciò a chiedersi cosa potesse essere quel senso di nausea che gli saliva dalla bocca dello stomaco fino alla base del cranio, lasciando nel tragitto sulle papille gustative un retrogusto di acido gastrico.
Sapeva perfettamente cos'era, ma porre la domanda all'io cosciente poteva aiutarlo a far finta del contrario.

Aveva bisogno non di mentire a se stesso ma di dimenticare veramente, rimuovere in senso freudiano, il perchè.

Era da due mesi che la spada rimaneva nel suo fodero.

Per LUI le risposte vengono sempre il giorno dopo.


As Your Life In Hell

sabato 27 febbraio 2010

Notturno Bus.

(perchè se un titolo è bello,vale la pena rubarlo)


I notturni fanno un tragitto completamente diverso da quello dei normali autobus. Per andare da un punto A ad un punto B sembrano procedere lungo una spirale, invece che una retta. Problema è che la spirale sembra costruita in sezione aurea e il bus sembra fermarsi ad ogni singolo punto che la compone. E se non sapete quanti sono, fidatevi sono un bel po'.
Ti sembra che se non scendi alla tua fermata potresti benissimo continuare a viaggiare all'infinito inseguendo la notte. D'altronde basta viaggiare in senso opposto a quello di rotazione terrestre, mica poi così difficile.

Sembriamo tutti in fuga.

Anzi, sembriamo tutti in uno di quei momenti dei film horror, dove hai appena finito di correre, ti appoggi ad una colonna per prendere fiato prima che il petto ti esploda per il battito cardiaco accelerato e, per un attimo, hai anche l'impressione che forse ce l'hai fatta a non beccarti un'accettata nello sterno. Peccato subito dopo da dietro la colonna ricompare il pazzo omicida. Un momento di respiro nel corpo di una fuga più ampia.

Il campionario umano è degno di un commesso viaggiatore uscito da un film degli anni'60: incredibilmente vasto per la dimensione del contenitore.
Centinaia di spazzole e saponi in una valigetta minuscola.

Però bisogna avere il coraggio di salire sull'autobus in un giorno infrasettimanale, altrimenti si incontrano solo ragazzini delle superiori, per lo più discotecari, che sciamano da una parte all'altra della città.

In quel caso ci sono ragazzi e uomini di tutte le età e di tutti i colori di pelle che vi possano venire in mente.
Alcuni di loro stanno tornando a casa, in quartieri periferici e malfamati, dopo aver finito un turno massacrante di un lavoro che noi indigeni siamo troppo qualificati per fare. Scappano dal chiedersi se per venire fin qui ne sia valsa davvero la pena affrontare un viaggio lunghissimo, sopprusi, ingiustizie, razzismo, disprezzo. Davvero un brutto modo per capire che la vita qui non è proprio Un posto al sole o Cento vetrine, che a vederli da fuori ti dici: «Beh, se sono solo quelli i problemi, è una pacchia». Invece alcune di queste persone si ritrovano a dover fare i conti con la reale sopravvivenza quotidiana.
E non sono cieco abbastanza da non vedere che alcuni di loro stanno scappando anche dalla legge, seduti sui loro sedili completamente chiusi in se stessi, con un cappuccio calato sulla fronte, che cercano ti tirare giù ulteriormente ad ogni volante della polizia che affianca il bus ad un semaforo rosso. Basta un niente per innescare questa premura: un documento fuori regola, l'assenza totale di documenti e ,ovviamente, magari anche il fatto di essere davvero un delinquente. Il solo fatto che abbiano sofferto non li rende migliori a prescindere, sicuramente anche tra gli immigrati ci saranno delle merde umane, pronte ad accoltellarti per quattro soldi, tanto quanto tra gli indigeni di questo paese. Ma i nostri delinquenti girano vestiti meglio e non sono scuri di pelle... e si sa, l'immagine è tutto.

Ci sono due ragazzi con i capelli lunghi e la pelle del viso brufolosa.
I giubbetti di pelle nera portano le insegne del loro nucleo di affiliazione sociale, sotto forma di toppe raffiguranti i loghi di gruppi metal. Parlano ad alta voce di un concerto, che non dev'essere stato un granchè. Scappano anche loro. Scappano via dalla maggior parte della gente, dentro un gruppo più ristretto che li accetti, che li faccia sentire parte di un qualcosa più grande del singolo individuo. E' richiesto solo di subappaltare parte della propria identità ad un'estetica condivisa. In cambio ti danno senso di appartenenza e qualcosa di cui parlare per evadere dalla realtà quotidiana. Si direbbe un affare. Non fosse che il cane rabbioso del reale ti insegue sempre con la bava alla bocca e il fiato che puzza di residui di carne in decomposizione tra le zanne e non c'è acconciatura o abbigliamento che riesca a impedirgli di morderti prima o poi.

C'è il barbone che ha eletto l'autobus a sua personale camera d'ostello, in taluni casi con un angolino ad uso bagno, per scappare dal freddo della notte.

C'è la studentessa universitaria fuori sede che è appena scappata da una festa deprimente oltre misura.
Deprimente perchè caricata di talmente tante aspettative, da convincerla che sarebbe stata una buona idea andarci da sola, imparando a proprie spese che se vai a feste organizzate da studenti di ingegneria meccanica ti ritrovi a condividere il doppio cromosoma x, al massimo, con una tizia coi baffi e una chiave inglese attaccata allo zaino. I capelli biondi e lisci che cominciano a perdere coesione, data loro dalla piastra qualche ora prima, e lo sguardo fisso sulle micidiali scarpe col tacco, che le donne con pervicace e masochistica insistenza continuano a mettere a feste dove si sta in piedi tutto il tempo. Le mani appoggiate compostamente sulle ginocchia, mentre cerca di cacciare dalla mente l'impressione di essere stata per un certo lasso di tempo come una giovane vitella ad un convegno di macellai all'ora di pranzo.
Il punto è che era partita con l'idea di farsi rimorchiare, per scaricare sopra a dei ricordi ingombranti una badilata di cazzi o almeno una limonata con petting leggero, se proprio la serata andava male. Una volta lì si era accorta che non era assolutamente quello che voleva, nonostante fosse quello che chiunque nella stanza volesse darle.

E ovviamente ci sono anch'io.
Io che scappo da 24 ore lunghissime e senza sonno, in cerca di serenità, di appetito, di qualcuno o qualcosa.
Io che chiedo a tutti gli altri passeggeri di riempirmi con le loro storie, interrogandoli con gli occhi, ma evitando i loro sguardi, perchè nessuno vuole aprirsi così tanto. Vogliono tutti cullare la propria solitudine, dopo essere stati in mezzo ad un sacco di gente, però io ultimamente non sopporto più di stare solo con me stesso. Non sono mica una così bella persona da frequentare. E se lo dico io che mi frequento da quasi ventisette anni, forse fareste meglio a credermi.

Alzo lo sguardo e mi metto a fissare la luce azzurrina, quella che viene accesa solo di notte. Crea un clima un po' strano: come fossimo su un aereo militare pronti per essere paracadutati, in piedi o seduti, tutti guardiamo la punta delle nostre scarpe e sembriamo concentrati, pronti per scendere al momento giusto, per lanciarci fuori nel vuoto, uscire dal nostro guscio protettivo di metallo e rischiare le nostre vite.

Vorrei avvicinarmi alla studentessa, dirle che capisco perfettamente, che se vuole possiamo essere da soli assieme per un po'. Forse sarebbe la cazzata giusta da fare ora, per come sto.
Arriva però il momento di alzarmi, premere il pulsante di prenotazione della fermata e preparare a lanciarmi.

L'autobus si ferma e le porte si aprono con il loro sibilo. Chiudo gli occhi solo per un secondo per godermi la ventata d'aria sulla faccia, poi scendo.
Bisogna ritornare a farsi inseguire dal pazzo omicida con l'accetta, sperando di essere il protagonista che si salva alla fine del film horror e non una comparsa sacrificale, messa in scena solo per soddisfare la sete di sangue degli spettatori.



As Your Life In Hell

giovedì 25 febbraio 2010

Guida per riconoscere i tuoi despoti.

--Messaggio alla nazione--

Perché anch’io ogni tanto ho un rigurgito di patriottismo. Tranquilli. Faccio la mia vomitella e poi passa.

Ci sono alcune persone che, vuoi o non vuoi, una mentalità democratica proprio non ce l’hanno. Si tratta di persone che hanno l’animo del despota, del dittatore, del duce, del kaiser, del furer... scegliete voi il termine che preferite. E’ un problema genetico penso, però possono essere limitati. Un po’ come i bambini “speciali”, che vanno tenuti sott’occhio perché non si infilino i pastelli nel naso, questi bisogna controllarli che non infilino a voi un pastello nel culo. Nel caso foste di quelli a cui piace, immaginatevi il tacco di un anfibio sui vostri denti. Se vi piace pure quello, mi dicono che l’Iran è bellissimo in questa stagione.

Vi avviso: andrò un po’a cazzo di cane, senza un percorso preciso. Quindi allacciate le cinture, chiudete il tavolino e mettete lo schienale in posizione verticale.

  1. Il dittatore standard avrà un simbolo. Qualcosa dietro cui schierarsi e da usare come etichetta per ministeri, carta intestata, spillette e divise, quindi per estensione persone, per divorare la loro identità e rimpiazzarla con la propria. Probabilmente sarà qualcosa di semplice, immediato, scelto da lui in persona e che lo identifichi in maniera inequivocabile. Farà di questo simbolo oggetto di culto e adorazione, in maniera che, per traslato, sia egli stesso ad essere adorato. Esempio lampante: la svastica, derivata da un simbolo benaugurale induista, scelta da Hitler in persona trai molti simboli delle dottrine ariosofiche, con quei colori magnifici ed essenziali. Direte: non era mica sua. Ma se scrivo qualcosa, le lettere mica le invento, però la scritta l’ho fatta io.
  2. A tal proposito Hitler mi ricorda che all’80% il dittatore potenziale sarà un artista frustrato, qualsiasi sia la sua arte, perché non riesce ad integrarsi nelle categorie culturali togate. Quindi occhio ai sedicenti pittori, poeti, scrittori, scultori, vasai, intagliatori di saponette e quant’altro. Mussolini era uno scribacchino, Hitler un imbrattatele, vedete un po’ voi...
  3. Sarà una persona che riscuote grande successo. Uno che ai giorni nostri avrebbe una valanga di amici su Facebook o altro social network a vostra scelta. Uno di quelli che tutti ammirano come essere umano e che è gentile con la segretaria al lavoro, ama i cani e stronzate simili...
  4. Ad aumentare l’ammirazione ci sarà il fatto che avrà un opinione su qualsiasi argomento voi tiriate in ballo, sicuramente verrà enunciata con pertinenza linguistica e sembrerà una gran figata sulle prime. Tuttavia ad un’analisi più approfondita si noterà che la suddetta opinione è frutto di citazioni raffazzonate, un vago buon senso, e tanti luoghi comuni, ovviamente condivisibili in linea di principio.
  5. Tra le persone che lo ammirano si sceglierà alcuni che gli facciano da entourage. Si struttureranno come gruppo di pari, molto democratico, aperto alle influenze esterne. All’inizio. Poi si creeranno giochi di potere interni, volti a far emergere quello o quell'altro (Notte dei Lunghi Coltelli docet), e contemporaneamente si chiuderanno in se stessi per proteggere una fantomatica identità.
  6. L’ideologia, del Pinochet della domenica (ma anche degli altri giorni della settimana) e del suo allegro gruppo di amichetti, sarà sicuramente condivisibile sui principi di base. E’ il segreto del populismo. Partirà da un senso di disagio per i tempi contemporanei, che va bene sempre. Magari si riferirà a tradizioni politiche già affermate e condivise, oppure anche a movimenti artistici e letterari, anche a singoli scrittori, che esaltino valori positivi come la libertà dell’individuo, delle sue scelte e del suo pensiero. Si proporrà come potenziale stimolatore di coscienze critiche e pensieri nuovi, magari anche direttamente uomini nuovi. Peccato che dopo poco i pensieri nuovi che conteranno qualcosa saranno i suoi e basta, a ‘fanculo gli altri... Ma mica per cattiveria, che pensate? E’ solo che bisogna mantenere un certo rigore morale,una certa integrità di intenti, mica possiamo stare ad ascoltare chiunque. Intanto perché magari gli altri potrebbero anche avere ragione, poi perché certe idee sono sbagliate a prescindere. Per fortuna che c’è chi fa decision making per noi...
  7. Per diffondere l’ideologia si servirà del mezzo di comunicazione del momento, probabilmente il più fico del momento. Sarà un medium che è connotato da dinamismo, facile accesso e rapidità, in conformità al tempo a lui contemporaneo, e sarà un esperto di quel campo. Infatti, come il buon pelatone, che prima di far arrivare i treni in orario si era dedicato ad aprire e/o collaborare con numerose testate, il nostro futuro Silla avrà sulla schiena molta esperienza a riguardo del mezzo di comunicazione prescelto.
  8. Oh già… Silla apre il capitolo sulla follia. Infatti il nostro sarà un paranoico maniaco del controllo. Per stare “bene” accentrerà qualsiasi decisione e creerà una rete di monitoraggio di ogni campo dell’esistente che a suo dire potrebbero costituire una minaccia. Passo successivo usare quelle informazioni per distruggere/eliminare/evaporare/obliterare magari un paio di poveri cristi che non gliene fregava neanche granchè di lui. Ma sicuramente nella sua mente essi tramavano nell’ombra, cospirando direttamente contro la sua persona.
  9. Ecco, la sua persona… Esattamente il centro dei suoi pensieri e della sua stima. Egli considera ciò che esce dai suoi stessi orifizi come oggetti degni, se non di culto, almeno di una bella cornice, siano essi merda o parole non cambia. Nessuno è autorizzato a non pensare a lui. Se non pensi bene, allora per forza pensi male. E se pensi bene, probabilmente non lo fai nel modo giusto.

Ecco ora vorrei lasciarvi con la raccomandazione di tenere controllato chiunque rientri nel profilo, nel caso complimentatevi con lui per la bravura nel campo artistico da lui scelto, perché se Hitler avesse avuto un premio qualsiasi, mi sa che la Polonia in primis avrebbe ringraziato.

C’è da dire pure che non ci sono troppe teste pensanti in giro e se ci sono non passano di certo qui. Comunque per le zucche vuote o svuotate che gradiscono un altro piacevole giro di dittatura in Italia o (perché limitarsi?) anche in tutto il mondo:

Con la presente guida potrete riconoscere il vostro uomo!
Colui che potrà dirvi con sicurezza cosa fare e quando farla!
Cosa dire e cosa pensare mentre lo state dicendo!

Solo una cosa.
Se scegliete qualcuno per appoggiarlo e farne il nostro leader, vedete che sia almeno carino. Vorrei una foto per la quale non dover trattenere i conati quando reciteremo il giuramento alla mattina appena arrivati al lavoro.

Grazie.


As Your Life In Hell

martedì 23 febbraio 2010

Lettera aperta a Isacco ed Ifigenia.

Cari Isacco ed Ifigienia,

Vorrei iniziare questa mia missiva con una breve citazione:

"[il sacrificio è] un atto religioso che, attraverso la consacrazione di una vittima, modifica lo stato della persona morale che lo compie o di taluni oggetti che la riguardano"
Marcel Mauss ed Henri Hubert
citati in Martine Segalene, Riti e rituali contemporanei

(Così con qualche parola saggia sul tavolo posso spacciarmi anch'io per persona intelligente.)
La citazione si inserisce in un discorso più ampio, che ha la sua conclusione nell'affermare che l'essenza di un rito consiste nell'atto di credere ai suoi effetti.

Immagino che entrambi siate davvero interessati a sapere se questi effetti, al di là di ciò che credeva chi ha compiuto il rito su di voi, si siano avverati.

Prima le signore.

Ifigenia, cara dolce fanciulla, posso solo imaginare cosa tu possa avere passato.
Quasi riesco a vederti che arrivi ad Aulide scortata da tua madre e da tuo fratello, tutta contenta per l'imminente festa di fidanzamento con Achille. Però già lì ti dovevi insospettire, voglio dire Achille era uno dei fighi più fighi del tempo. E' come se oggi dicessero ad una ragazzina emo: "Guarda, in quella stanza c'è Jonny Depp che ti vuole sposare", diciamo che in poche ci crederebbero. Però tu dalla tua hai che te l'aveva detto il tuo papà, a cui volevi tanto bene. E che fai? Non vuoi credere ad una persona a cui vuoi bene, che dice a sua volta di volertene e che magari ti aveva promesso di proteggerti con il suo possente scudo?
E chissà com'eri eccitata mentre le serve ti vestivano con i drappi più belli, fatti con stoffe così delicate da accarezzare i soffici peletti del braccio come un soffio di vento e strapparti un brivido, che finiva poi in una risata imbarazzata. Sì, perchè pensavi che il fidanzamento era il primo passo, poi sarebbe arrivato il marimonio e con esso tante esperienze nuove.
E poi la ghirlanda sul capo, con le bende ornamentali che cadevano fino a terra. Già ti sentivi sposa. Già ti sentivi regina.
Mentre percorrevi il corridoio del palazzo, però, le guardie intimano a tuo fratello e a tua madre di restare indietro. Solo tu potevi entrare nella sala cerimoniale.
Oreste, con il suo solito fare da sbruffone, tipico dei maschi della vostra famiglia, aveva già la mano sull'elsa della spada, non disposto a soprassedere alla mancanza di rispetto di due guardie nei confronti del vostro rango reale. Tu, vedendo che Clitennestra veniva colta da un mancamento e che cercava con le mani un appiglio sul muro per non cadere, hai appoggiato delicatamente il tuo palmo sulle nocche imbiancate di tuo fratello, sussurrandogli all'orecchio di occuparsi di vostra madre. Poi ti sei voltata e hai varcato la soglia.
La stanza era buia, volute di fumo bianco si alzavano dal braciere interrato al centro della stanza e rimanevano imprigionate, nonostante l'oculo aperto sul soffitto. In questa nebbia il fuoco che ardeva illuminava i volti degli uomini che ci stavano attorno, in piedi e in silenzio, con i capi chinati. La luce dal basso, fioca e danzante, delle fiamme dipingeva sui volti delle maschere grottesche, su cui ogni ruga sembrava un crepaccio, come quelli che sia aprono tra le montagne della tua terra. Ma tu avevi riconosciuto i volti celati sotto quelle maschere: Menelao, Ulisse, altri grandi re della Grecia, ma soprattutto lui: tuo padre, la cui volontà era stata piegata dalle parole dei suoi alleati e dal desiderio di affermazione guerresca.
Nessuno osava guardarti. Anche perchè eri bellissima.
Dall'ombra come un animale feroce spuntò una mano che ti afferrò un braccio. La mano era ossuta e la sua pelle ruvida graffiava la tua così delicata. Alle tue spalle c'era Calcante, l'indovino, che nell'altra mano stringeva il pugnale rituale.
Tu in un attimo avevi già capito e gli occhi ti si riempivano di terrore per quello che stava per accadere. Cercavi disperatamente con lo sguardo gli occhi di tuo padre, ancora fissi su fuoco davanti a sè, mentre ti dimenavi per resistere alla spinta del vecchio verso l'altare davanti al focolare.
Poi lui alzò lo sguardo e tu ti sei sentita persa, il cuore gettato in un pozzo così profondo che l'acqua non riflette la luce del sole, un senso di abbandono totale. Avevi ormai capito che lui non si sarebbe mosso per aiutarti, qualcosa di più grande di te aveva bisogno di essere placato.
Allora tu smisi di opporti e come in trance ti sei fatta portare fino all'ara. Cominciarono le preghiere, ti cosparsero il capo con semi ed acqua, che colava fin sul ripiano inclinato dell'altare, creando rivoli scuri sulla pietra. Calcante alzò il pugnale e, mentre tu già pensavi che sarebbe finita, ti tagliò solamente una ciocca di capelli, che gettò tra le fiamme. Con gli occhi chiusi sentivi che l'odore acre dei capelli bruciati riempiva la stanza e immaginavi che gli occhi delle persone attorno al fuoco si stessero riempiendo di lacrime. Almeno lo speravi.
Il taglio della lama fu velocissimo, così come lo spruzzo di sangue che imbrattò l'altare, mentre il sangue che colava tra le fiamme a contatto con le braci emetteva un sibilio quasi gioioso. Eri ancora viva quando, tra le orazioni di tutti, l'indovino ti spinse dentro il focolare, ma tanto non avevi più voce per lamentarti.

Vorremmo tutti credere alla favoletta consolatoria di Artemide che ti salva all'ultimo e ti scambia con una cerbiatta, per portarti in Tauride e fare di te la sua assassina numero uno. Questa l'hanno inventata dopo per poter dire alle bambine di fare le brave e non rompere se gli si chiede di fare qualcosa, che dopo c'è il premio per chi obbedisce. Ovviamente tutti scopriamo che non c'è.

Ora ti chiederai: "è servito a qualcosa il sacrificio?"
Non so se ti è di qualche consolazione, ma la risposta è sì. Con il tuo olocausto il mare della Beozia si calmò e tuo padre potè partire alla volta di Troia con tutta la flotta degli Achei.
Bisogna aggiungere che la sua partenza comportò una guerra sanguinosa, che durò dieci anni, rase al suolo una città-stato e disperse un popolo. Tua madre non si riprese mai dalla tua uccisione e quando tuo padre tornò dalla guerra lo uccise pugnalandolo nella sala del trono. Ben gli sta, verrebbe da dire. Se non fosse che Oreste, obbedendo ad un mal celato senso dell'onore, finì per vendicare vostro padre uccidendo tua madre e meritandosi a sua volta una punizione. Mica con uno schiaffetto sulla mano, purtroppo mi duole dirti che è stato sbranato vivo dalle Erinni, in modo, penso, particolarmente doloroso.

Mi dispiace.

Ora tocca a Isacco.
A te in confronto è andata di lusso, ma non è stata una passeggiata di salute nemmeno la tua vicenda.

Immagino non debba essere stato male all'inizio, sarai stato coccolato tantissimo. Voglio dire per tutta la faccenda del tuo fratellastro che tuo padre aveva avuto da Agar.
Probabilmente, se non te l'hanno raccontato, non te lo ricorderai, ma Agar era la serva di casa, probabilmente ti avrà anche cambiato un tot di pannolini o l'equivalente kosher che usavate. Ecco tuo padre, ovviamente interpretando malamente e in perfetta buonafede una rivelazione fattagli da Dio in persona, ha avuto un figlio da Agar: Ismaele. Si sa, gli umani sbagliano, non sia mai che Dio possa aver fatto delle affermazioni sibilline. Infatti prontamente dopo soli tredici anni dalla nascita di questo bambino, il Pezzo Grosso si fa sentire e annuncia la tua imminente venuta insieme all'obbligo della pratica della circoncisione. Mi spiace.
Ecco, poi arrivi tu e si crea qualche attrito per via del fatto che Abramo coccola più te o cose del genere. Per farla breve Agar e figlio finiscono nel desero con un(1) otre d'acqua e un(1) pane.

La simpatia non finisce qui. Un giorno arriva la notizia, per direttissima da Dio, che tu devi essere sacrificato.

Tuo padre, bene o male quello che consideri il più fico di tutti, il tizio che parla con Dio, quello che ha messo in cinta la cameriera in suo nome, quello che ha condotto i negoziati per salvare Sodoma e Gomorra dalla pioggia di fuoco, quello che spacciò al faraone la moglie per la sorella pur di non farsi accoppare. Ecco il tuo modello di vita ti dice: "E' una bellissima giornata... andiamo a fare una passeggiata su questo monte..." pure tu non eri proprio il primo della classe, eh?
Mi chiedo cos'avrà usato per convincerti. Immagino ti abbia detto che c'era un pozzo di caramelle gommose custodite da dei mini pony o datteri al miele, se usavate quelli. Certo che quando vedevi che nella bisaccia metteva un coltellaccio, delle corde e la merenda per uno, ti potevi insospettire. Ma è anche vero che se hai concesso la tua fiducia, ormai l'hai data.

Tu mi verrai a dire: "Beh, alla fine mi ha risparmiato. Ha mandato l'angelo a fermare la sua mano."
Sì, beh il sacrificio ha valore se credi negli effetti che questo porta e il fatto che sia stato fermato vuol dire che l'avrebbe fatto. Quindi virtualmente sei stato sacrificato per l'obbedienza a questo Simpaticone, siccome nessuno aveva fatto niente, viene da pensare per prevenire scoppi d'ira contro la tua gente.
Beh, vediamo se sul lungo periodo il sacrificio di un paio di pantaloni buoni e di parecchie ore di sonno, tormentate da incubi terribili dove tuo padre tenta di sgozzarti, è servito a qualcosa. Anche in questo caso la risposta è: sì.
Il popolo di Israele è riuscito a raggiungere la Terra Promessa.
Ricordiamo solo velocemente che per arrivarci si è dovuti passare per sette(7) anni di vacche magre, quattrocento(400) anni di schiavitù in Egitto, quaranta(40) anni di vagabondaggi nel deserto, durante i quali ricordiamo veniva fornito come alimento la manna, nota per le sue doti lassative.
E questo per aver obbedito al Simpaticone? Per aver accettato di fare il sacrificio? Per non aver fatto nulla di male e aver agito per assecondare una paranoia di Dio?
Anche perchè poi sul lunghissimo periodo le cose sono andate di bene in meglio: esilio babilonese, dominazione persiana, dominazione macedone, dominazione romana e diaspora. Poi guardando ancora più in là, come conseguenze ulteriori: crociate, caccie alle streghe, oscurantismo scientifico, pogrom e persecuzioni antisemite diffuse e generalizzate per tutto il mondo occidentale.
Però alla fine, ora, avete di nuovo uno stato di Israele in pace, eh?

Yay.

Ragazzi avete visto che nel complesso fare da vittima sacrificale serve? Si lo so, non si sceglie di diventare vittima. Ma voi e tutti quelli come voi che si fanno carico attraverso il proprio dolore di facilitare la vita di chi sta loro attorno, sia essi stiano assecondando paranoie folli condite da deliri di onnipotenza, sia essi stiano fondando il proprio agire su un fondamentale atto di violenza che prima o poi si ritorcerà loro contro, siate fieri e orgogliosi.

La nostra società e i rapporti umani poggiano le fondamenta su una pila di vittime che è strano non si senta ancora la puzza dei cadaveri.

Voi siete i pilastri su cui si reggono le nostre più traballanti costruzioni.

E io vi ammiro.

Grazie.

Un saluto e un abbraccio a tutti e due, Ifigenia e Isacco,

Valentino



As Your Life In Hell

domenica 21 febbraio 2010

Fantasticoso mozzafiatante.

sottotitolo: Il lungo e oscuro week-end dell'anima.

Mi sono ricordato le parole di Harvey Dent in The Dark Knight: La notte è sempre più buia prima dell'alba.

Beh, mio buon Harvey, sappi che viviamo nel XXI secolo e non usiamo più solo il sole per illuminarci, oggi abbiamo le lampadine le quali sono sempre un po' più brillanti prima di fulminarsi.

Spiegazione per gli ottusi internauti abituati a cose limpide e chiare (l'ermetismo l'abbiamo buttato nel cesso,eh?):
il sabato era anche inscrivibile nella categoria medio-merda, con qualche piccolo picco di contentezza per un lavoro finito, poi è arrivata la domenica.

Una domenica fantasticosa mozzafiatante, in cui mi sono fatto violenza psicologica cercando di integrarmi in un branco che non mi appartiene. Ma comincio a pensare che non apparteniamo nemmeno alla stessa specie io e i frequentatori di certi posti.
E per cosa poi? Per le aspettative... penso che mi uccideranno prima o poi... sono come stramaledette puttane sifilitiche... sembrano a posto e poi ti fanno ammalare dentro. Comunque è solo colpa mia se non riesco ad "integrarmi".

Vorrei capire come cazzo fanno gli esseri bipedi che sciamano avanti e indietro su questo sasso schifoso che chiamiamo Terra. Sono sempre integrati, e io sono sempre fuori dal flusso. Sono sempre staccato dagli altri e non riesco nemmeno a vedere maniere o motivi validi per avvicinarmi. Non mi sembra di avere assolutamente niente che a loro possa interessare.

Alla fine forse vanno avanti grazie ai branchi. Piccoli gruppi abbastanza omogenei al loro interno che servono per spostarsi con la sicurezza che tu e il tuo gruppo siete fighi e gli altri no.

E qui altra novità fantasticosa mozzafiatante.

Io sono privo di branco in questa cazzo di città, che storicamente si è distinta per aver prodotto despoti, folli, paranoici e distruttori.
Il branco ce l'ho in un'altra, ma oggi uno dei membri mi ha morso. Forse ho fatto pipì dove non dovevo, ma sinceramente non mi sembrava. Anzi ho mantenuto dei confini netti e non ho addentato la carcassa prima del capobranco. Ho sempre voluto bene al branco e ad ognuno dei suoi membri. Necessità direte voi. Forse, rispondo io, ma il bene è bene, poco da fare...

Magari è un fraintendimento, ma allora mi aspetto che mi si venga a leccare le ferite che mi si sono state fatte (e solo quelle, mica altro...).

Alla fine potrebbe anche non essere un fraintendimento, potrei aver capito bene che erano solo legami apparenti, meno forti di altri, più sacrificabili e lubrificati da tanti bei propositi che finiscono con lo scontrarsi con una pazzia che ho pure anche tentato di comprendere.
Va bene, ci sto...
Però non si cerchi di indorarmi la pillola con complimenti del cazzo a vanvera, a cui comunque era qualche tempo che faticavo a credere.

Se ho infranto qualche regola e mi sono meritato il morso, 'fanculo... altri hanno fatto di peggio e senza conseguenze, anzi alla fine ricevendo pure dei premi.

Il lupo solitario è tale solo in riferimento ad un eventuale ritorno nel branco. Senza branco è solo un animale impaurito solo, affamato e al freddo. Forse esagero, il branco è più grande della somma dei suoi membri e se uno solo ti morde non cambia l'equazione. Però ora mi sento un pochino più solo, affamato e infreddolito.



E se sono caduto un'altra volta nell'ermetismo di una metafora etologica spalamata su n righe, non intendo per niente scusarmi. Stronzi galleggianti che navigate sul pelo dell'acqua del web, imparate a leggere tra le righe. Magari potete anche seguire il consiglio della maestra alle elementari che vi diceva di alzare quella cazzo di manina e chiedere se non capivate qualcosa. Bambini idioti, non lo facevate allora e non lo farete adesso. Allora per paura e ora per superbia intellettuale.


As Your Life In Hell