venerdì 14 maggio 2010

La Venere storta.


Alle volte nella vita di uomo si incontrano.

Non importa se hanno i capelli ricci, lisci o mossi.
Non importa se quei capelli sono lunghi o corti.
Non importa se sono neri, rossi, castani, o biondi.
Non importa se sono artiste o scienziate.
Non importa se lavorano, studiano, o tutt'e due o nessuna.

Sono ragazze che sembrano normali, ma normali non sono.

Ti dicono cose tipo:
"Ho la cellulite"
"Ho un anca più piccola dell'altra"
"Ho il culo flaccido"
"Ho pure una tetta più piccola dell'altra"

"Sono come una Venere. Bella da distante, ma, a guardarla bene, tutta storta.

Una Venere storta."

Non è una rivisitazione della "musa malata" di Baudelaire, non te lo dicono per farti vedere quanto sono fighe anche dentro quella testa così graziosa.
Non hanno bisogno di dimostrarti nulla.
E benché meno vogliono farti da musa.
Come un cane fiuta la paura, loro fiutano di essere una spanna sopra di te. Al massimo potete essere allo stesso livello, ma anche lì... loro hanno comunque la vagina e se sei un maschio eterosessuale, vuoi o non vuoi, sei un po' alla loro mercé.
Lo sentono che sei tu ad aver bisogno di loro, ma hanno buon cuore e magari anche tu potrai avere un pezzetto della dea.

Ti dicono certe cose mentre sei a letto con loro, subito dopo, quando si è ancora nudi e il sudore ti si sta asciugando sulla pelle.
Tu ascolti, ma senti solo "Venere" e non vedi nessuna stortura. Magari nemmeno c'è.

Così finisci per sentirti un po' Ares.
E oltre a sentirle dentro, ti sembra di averle anche sulla pelle le cicatrici delle tue battaglie personali. Ti senti un po' un reduce.
Solo che, a differenza di Ares, le tue battaglie non sono epiche, non sono eroiche.
La vita che vivi è piatta e insignificante come quella di tutti e la cosa più pericolosa che ti possa capitare è che un armadio ti cada addosso facendo dei lavori in casa, mica un esercito di titani che scala l'Olimpo con la chiara intenzione di farti il culo.

Però i lividi e le cicatrici ci sono comunque. Magari gli altri non li vedono, ma tu patisci tutto il male che li hanno generati.
Poi arrivi da Venere appoggi lo scudo e lei ti accarezza e bacia i segni delle tue battaglie.
Non importa se non sei il suo uomo, non sei Efesto.
Non le importa se sei come una specie di yogurt in scadenza e che di lì a poco dovrai andartene nella spazzatura.
Non le importa se sei già scaduto e dentro hai un casino di fermenti lattici, fin troppo vivi.
State distesi nudi uno a fianco all'altra e lei ti passa le mani trai capelli, accarezzandoti la nuca.
Ti accarezza il viso e quel po' di barba che sta rispuntando, perché da qualche tempo hai cominciato a lasciarti andare, fa un leggero rumore sotto le sue unghie.
Uno di quei rumori che partoriscono brividi che partono dalla base della schiena fino alla nuca, ma al contempo sembrano cullarti e tranquillizzarti.

Poi chiudi gli occhi per un attimo e ti concentri sulla sensazione delle dita che si infilano tra le ciocche di capelli.
Cerchi di figurarti come deve'esser bello il contrasto di colore di quelle appendici chiare sullo sfondo delle fibre scure e cominci a pensare seriamente che sia addirittura meglio questo di quando erano avvinghiate al tuo uccello muovendosi dall'alto verso il basso.
Certo scopare non era assolutamente male, anzi, ma manifestazioni d'affetto di questo genere non hanno bisogno di preservativi o di lubrificanti, naturali o meno. Una bella comodità e una non minore efficacia.

Ti sembra passato il tempo di un paio di pensieri, pochi istanti e riapri gli occhi.
Il viso della Venere è a pochi centimetri dal tuo.
Tu hai una coperta addosso.
Ti sei addormentato.
Ti sei addormentato e lei ti ha coperto, vi ha coperto.
Hai abbassato anche l'ultima difesa, quella del tuo io cosciente. Lei è Venere non vuole farti male, puoi permetterti di addormentarti.
E senti che la stanchezza di notti e notti insonni si è dissolta di fronte a solo pochi (forse) minuti di sonno veramente rilassato.

Probabilmente se ti fossi svegliato, se l'avessi vista tirare su il plaid fucsia dai piedi del letto e appoggiartelo sulla schiena, l'avresti anche ringraziata. Lei si sarebbe schermita dicendo che lo faceva solo perché aveva freddo, mica per te.
E chissà dove si sarebbe dovuta cercare la verità, se tra le pieghe dell'orgoglio, più insidiose di quelle, cariche elettrostaticamente, della coperta in pile, o nelle parole uscite di bocca.

Ora però devi interpretare il tuo ruolo fino in fondo. Ares ha sempre una qualche combattimento a cui partecipare.
Scivoli sotto la coperta, facendo attenzione che lei non si scopra e che non si accorga della tua premura.
Ti siedi sul bordo del letto e ti rivesti. Armatura e tutto.
Ogni tuo gesto è dilatato e prende il doppio del tempo normale. Indugi su quegli atti, forse per godere degli ultimi istanti della presenza di Venere, forse per chissà che altro.

La senti muoversi alle tue spalle e, quando ti giri, lei ha addosso qualche indumento da casa e ti sta guardando.

Si crea uno di quei momenti di silenzio in cui tutti e due vorrebbero dire qualcosa, ma che si è capaci di riempire solamente con qualche sorriso.

Poi lei dice: -Se vuoi puoi fermarti qui a dormire...-

Tu sai quanto le costa dirti una cosa del genere. Per lei non è facile, ma lo fa. Ti offre ancora di più di quanto non ti abbia già dato. Forse lo fa perchè sa che te andrai comunque, o forse vuole veramente averti accanto come pochi momenti prima, in extended editon.

E cazzo, se vorresti guardarla, sorriderle, sfilarti la maglietta e dire "Va bene".

E' come quando la mattina sei ancora a letto, non ricordi cos'hai sognato, ma senti che era qualcosa di piacevole, e contemporaneamente ti vengono in mente tutte le cose da fare di lì a pochi minuti. Un misto tra disgusto, per la propria vita, e depressione, per la sensazione di felicità che sta lentamente sfumando nella tua testa, con un simpatico senso di nausea come retrogusto.
La causa di questo fade-out di felicità sono tutte le cose del giorno dopo che incombono e la realtà che ti arriva addosso come una secchiata d'acqua fredda gettata su due cani. E tu sei tutti e due i cani, o almeno così ti sembra. Nemmeno la consolazione del "mal comune".

Quelle tue piccole battaglie per niente eroiche, le tue occupazioni triviali e insulse ti spingono ad alzarti dal letto e infilarti la giacca, mentre intanto gliene parli, gliele descrivi, forse più per convincere te stesso che devi andare, che altro.

Dopo che ti ha accompagnato alla porta, vi siete salutati, e alle tue spalle hai sentito chiaramente il suono dei cilindri della serratura blindata che si infilano nei loro alloggiamenti, ti senti come se avessi guadagnato una tacca in più sul tuo personale stupidometro.
Come se ti fossi lasciato sfuggire l'occasione di godere di qualcosa di bello. Un'altra volta...
Un po' come quando la mattina rinunci alla possibilità di sognare ancora un po' ed esci dalle coperte, con la consapevolezza che è la cosa più sciocca da fare.
La cosa migliore sarebbe continuare a rigirarsi nelle coperte, magari cullando l'illusione di poterlo fare ad oltranza, soprattutto se lo confronti a quello che ti attende fuori dal letto e che andrai a fare per il resto della giornata.

E un'altro pensiero ti raggiunge, quando tu invece hai raggiunto il marciapiede e lanci un'occhiata alla finestra della Venere.
Nell'attimo che ti soffermi, il freddo, che nonostante la stagione continua a farla da padrone nelle ore tarde, genera brividi di segno opposto a quelli di poco fa.
E il pensiero che ti passa nella testa è un altro "grazie", per tutto ciò che di buono ti è venuto dopo tanto tempo.
Solo che è strano e non è usanza in questo mondo ringraziare qualcuno per averti lasciato infilare il pene in qualche cavità anatomica.
Certo non sarebbe solo per quello la gratitudine, ma ti toccherebbe spiegare con lunghi giri di parole cosa intendi. E ormai le parole le senti logore, o forse è solo l'inizio di un brutto mal di gola.
E come dimenticare l'orgoglio e la superbia, tipici degli dei. Essi ti impediscono di esprimere a pieno la debolezza intrinseca di un "grazie", che ti mette nelle mani di qualcun'altro, ammettendo di aver avuto bisogno di quel qualcuno, il quale può in ogni momento ritirare i propri favori.
Paura e necessità di proteggersi? Forse.
Ma quando escono fuori assomigliano tanto all'orgoglio. E se ce l'ha Venere, ce l'ha pure Ares.

Da solo ti allontani lungo la strada ingombra di macchine parcheggiate e, dando le spalle a Venere, cerchi di convincerti che ci sarà un'altra occasione e un'altra maniera di ringraziarla.


Nessun commento:

Posta un commento